Etichette shock sui pacchetti di sigarette. Funzionano davvero?

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La gran parte dei Paesi del mondo (maggiormente quelli ricchi), adotta una strategia efficace che garantisce la riduzione del consumo di tabacco. Queste strategie globali evitano anche che parte dei giovani inizino a fumare.

Fino ad ora, le strategie che funzionano sono 3:

1.Pubblicità anti-fumo

L’utilizzo dei mass media come TV, radio, stampa, WEB, per la diffusione di campagne pubblicitarie, ha un forte impatto nella riduzione del fumo, tuttavia a causa dei costi, sono pochi i Paesi che a livello nazionale la adottano come strategia.

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in blu i Paesi che adottano la pubblicità diretta per limitare l’uso di tabacco

 

2.Etichette shock – “warning labels”

Le immagini shock dal forte impatto emotivo, saranno a quanto pare una realtà anche in Italia. In alcuni casi contengono indirizzi e numeri telefonici utili per chi vuole seguire una terapia per smettere di fumare.

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Un pacchetto di sigarette australiano. La marca “variant” è ridotta ad una semplice scritta.

Le lobby del tabacco lottano duramente contro l’applicazione di queste immagini sui loro pacchetti perché effettivamente sono in grado di modificare il comportamento dei fumatori.

Le multinazionali del tabacco si oppongono a questo genere di avvisi affermando che :

  1. le immagini shock non sono necessarie perché le persone conoscono già benissimo i rischi legati all’uso del tabacco;
  2. non è chiaro che queste etichette funzionino veramente;
  3. le etichette che occupano tutto il pacchetto sono una violazione al marchio aziendale e ai diritti di proprietà intellettuale;
  4. applicare le etichette è troppo costoso e richiede troppo tempo, mentre quel denaro potrebbe essere speso meglio;
  5. le etichette sono inefficaci nei confronti di chi compra sigarette singole o tabacco sfuso;
  6. le etichette shock demonizzano i fumatori.

Tutte queste argomentazioni non vengono ritenute realmente credibili, e il sospetto è che l’opposizione nasca dalla consapevolezza che le etichette shock riducono sensibilmente il consumo di tabacco.

 

CatturaEfficaciaWLNella figura sono indicate le persone intenzionate a smettere prima dell’introduzione delle etichette shock e dopo (WHO, 2011). I risultati non lasciano dubbi. I dati riguardano i cittadini canadesi, ma a breve sembra che potremo raccogliere le statistiche anche nel nostro paese.

Al contrario è dimostrato che le scritte apposte sui pacchetti (in Italia dal 1991) in caratteri semplici non hanno alcun effetto.

 

I paesi che storicamente adottano le “warning labels” sono indicate in blu nella figura che segue.

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3.Aumento delle tasse

L’aumento del prezzo delle sigarette garantisce statisticamente la diminuzione del consumo di tabacco.

Di contro, se il prezzo rimanesse invariato a lungo la popolazione fumerebbe di più. Tale strategia funziona meno nei Paesi ad alto reddito.

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in evidenza, i Paesi che adottano l’aumento delle tasse come strategia di riduzione del consumo di tabacco

Per concludere…

Pochi sanno che l’Italia è un Paese che ha storicamente dimostrato di essere all’avanguardia nel contrasto del tabagismo: la prima legge antifumo italiana risale all’epoca del fascismo (1936) e vietava la vendita di sigarette ai minori di 16 anni. Fu uno dei primi esempi di legge anti tabacco in Europa!

Siamo stati anche tra i primi a vietare il fumo nei locali pubblici (2003), mentre in Europa si è continuato a fumare ancora per diversi anni.

Con la recente adozione delle immagini schock per scoraggiare il consumo di tabacco, alcuni potranno obiettare che esitono metodi migliori che choccare le persone, ad esempio facendo prevenzione a scuola, educando a conoscere la dipendenza tabagica e le sue caratteristiche reali.

Un’altra questione fondamentale è la seguente: le politiche sanitarie hanno da tempo abbandonato il fumatore a sé stesso, riconoscendo nel libero arbitrio (nella scelta di fumare oppure no) un modello personale del tabagismosei tu a deciere se fumare o smettere“, che cancella indebitamente l’importanza di quello sanitario, dove invece la dipendenza da nicotina è una malattia. Peccato però che la dipendenza sia in grado di travalicare la volontà e la libertà di scelta; in questa ottica il fumatore appare abbandonato a sé stesso ed è alle prese con un problema che non è più in grado di gestire da solo. Le terapie mediche e psicologiche della disassuefazione (le uniche terapie che funzionano), dovrebbero avere una diffusione e una risonanza globale, passare per tutti i canali utili, e maggiori risorse andrebbero impiegate per raggiungere un numero sempre più grande di fumatori.

Come giustamente fa notare B. Tinghino (presidente della Società Italiana di Tabaccologia), dei 12 milioni di fumatori in Italia, pochi hanno voglia di sentirsi malati; l’alto tasso di fallimento di qualsiasi iniziativa terapeutica volta a coinvolgere in maniera più diretta i fumatori (e la frustrazione degli operatori sanitari che ne conseguirebbe) è dietro l’angolo.

La lotta al tabagimo è l’arte del possibile: qualche immagine forte non risolverà il problema, però, se mezzi del genere sono in grado di smuovere almeno in parte i numeri del fumo, benvengano.

Mauro Bruni© – Tutti i diritti riservati

 

 

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